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«...E vorrei una risposta rapida, se no m'incazzo e do tutto alla Minimum Fax».
La testa dell'editor ha un scatto. Quelle parole sono un ricordo fulmineo.

L'editor, strano personaggio. Nella migliore e più tautologica delle ipotesi viene pagato per leggere e fornire a chi lo paga un suo parere circa la bontà dei testi che ha letto, ma nella realtà – dove le ipotesi migliori non si realizzano – si ritrova quotidianamente invischiato in mille trappole collaterali, trabocchetti e angoli bui nei quali la parola scritta cede il passo ai numeri.

Su questo l'editor stava divagando; su quei numeri che lo assalgono di continuo, strattonandolo, risucchiandolo altrove, come accade ai bambini delle fiabe che sempre precipitano dentro un armadio senza fondo per poi ritrovarsi, infreddoliti e quantomeno perplessi, al cospetto di qualche livida regina delle Nevi. In modo analogo, come a contrappasso del suo persistente lato fanciullo, l'editor è costretto ad avventurarsi in quelle esotiche terre rette con pugno di ferro da Sua Maestà il Marketing. Questi, coadiuvato nell'amministrazione dal fidato Nielsen, ministro delle Classifiche, e resistendo ai settimanali capricci della principessa Arianna, è protagonista di una dialettica complessa e dai connotati vagamente renziani col popolo dei Lettori, che si vorrebbe "sovrano", se non fosse che l'intera faccenda è meno democratica di quanto non la si racconti...

«...Una risposta rapida, se no...». Un sussulto che lo allontana da armadi e numeri malvagi, e riporta l'editor al presente.
Per la precisione, all'uomo che gli siede di fronte, a un tavolo di Lucarelli in via Satrico.

L'uomo si chiama M. Avrà tra i 45 e i 50 anni. Ha scritto un romanzo. Niente di irreparabile, se non fossero le sei pomeridiane di un 31 dicembre. Insomma, l'editor si è fatto incastrare; in realtà non sa spiegare come si trovi lì, mentre l'universo mondo si affretta a mettere lo spumante in fresco per il brindisi di mezzanotte.

A scanso di equivoci, precisiamo che non è M. ad aver minacciato "incazzature" in quella lettera arrivata in casa editrice due o tre anni prima, allegata a un manoscritto e destinata a fissarsi nella memoria collettiva dell'ufficio...

E l'editor pensa che sia un peccato.

Perché con uno così ci potrebbe almeno litigare, e tutto sarebbe più semplice e veloce, mentre ciò che si sta celebrando a questo tavolo è il Trionfo dell'Educazione. Il pudore e un senso neoclassico della misura impediscono all'editor di interrompere la recita e fare la domanda che da circa un'ora è lì, sommersa nella sua mole distruttiva come un iceberg in agguato, soltanto una minuscola capocchia affiorante dal moto ondoso di quella tiritera... "Iceberg! Teoria dell'iceberg!", rimugina senza volerlo – ormai si sarà capito: l'editor ha la scomoda abitudine di lasciar andare la mente dove capita. "Solo un terzo del racconto visibile in superficie, il non detto è più importante ecc. ecc.". Pensa che dovrebbe dirglielo, a quest'uomo. Sta per farlo, ma poi scuote la testa. Alla fine mormora «Scusi...».
«Avevamo detto di darci del tu». Sorriso disarmante. M. non ha nemmeno il fiatone, dopo tutto quel parlare.
Anche l'editor sorride. «Scusa... non sono sicuro di aver capito bene».

M. lo guarda, sempre sorridendo.
«Cioè, abbiamo detto, il protagonista è un gatto, giusto?».
«Un gatto sì ma non proprio un gatto un gatto centauro mezzo gatto mezzo uomo che a bordo di un velocipede attraversa...».
«Un velocipede?».

Il sorriso ha un lieve appannamento. «Una specie di bicicletta».
«So cos'è un velocipede», fa l'editor. Non può fermarsi ora. «Ma il problema non è il velocipede. Vede...».
M. allarga le braccia come qualcuno a cui abbiano sparato in petto.

«...vedi!, è che mi stai raccontando la trama da quanto, un'ora? E ancora non ho capito di che parla».
«Ho quasi finito».
«Sì ma non è questo il punto».
M. lo fissa. Il sorriso è scomparso.

L'editor finge di bere il fondo del caffè rimasto nella tazzina, poi scuote la testa. «Credo che nemmeno tu abbia ben chiara in testa la storia, altrimenti...».
«Ma te l'ho detto è complesso perché vedi il gatto è come il monocolo dell'artista che fa un viaggio nella multiformità dell'arte e dell'essenza creativa dell'uomo e...».

Fra meno di tre ore l'editor deve essere a cena con sua moglie in casa di amici.
Pensa che potrebbe dirgliela alla Checov, che è meglio scrivere di cose semplici in modo semplice, scrivere di cose che si conoscono bene, lasciar perdere gli avvenimenti straordinari. Ma poi quello gli risponderebbe «e Tolkien allora?!».

Se è battagliero, e dallo sguardo a fessura gli pare lo sia, potrebbe anche uscirsene con un «e i vostri vampiri, allora?!», pronunciando quel vostri come se schiacciasse una blatta in cantina, in riferimento alla sigla editoriale per la quale l'editor lavorava. Allora gli toccherebbe ribattere che il fantastico ha le sue regole, un codice che si asseconda o dal quale si è fuori, che portandoci "altrove" ci parla però sempre della realtà e la conversazione si protrarrebbe a lungo, acquisendo una fastidiosa tendenza all'astrazione e... D'un tratto l'editor ha l'impressione di non sentirsi granché bene. Fa scorrere il dito all'interno del colletto della camicia. È per quello che M. ha appena detto.

«La materia del mio romanzo è il tempo!».
È una trappola. Qualunque cosa obietti, sa che l'altro risponderà «e Proust allora?!».

Sceglie la strategia del silenzio. Sì, terrà la bocca chiusa, e quello gli parlerà di Calvino e Joyce. Sicuro. C'è già passato. Lui non ha niente contro Calvino e non ha niente contro Joyce. Ha la sensazione che siano un po' fuori contesto, in quella conversazione, ma non batte ciglio. Non deve dimenticare di esser lì per lavoro! Un errore, d'accordo, andare all'appuntamento senza aver prima comprato le bottiglie di Berlucchi da portare a casa, così rischia che i negozi chiudano, ma il lavoro è lavoro, e potrebbe comprarle lì dove si trova, ma al market le pagherebbe molto meno. E poi sente nominare il Gruppo 63.

Si guarda intorno, ma inutile farsi illusioni: M. è il responsabile. È stato lui a pronunciare quel nome, che all'editor dice qualcosa, sì, non sa bene... qualcosa che, in modo vago e misterioso, gli fa paura.

Scatta in piedi.
Sul tavolo, tra la tazzina di caffè e il Crodino, giace il manoscritto che raccoglie le gesta del gatto-centauro-ciclista-monocolo... L'editor fissa il blocco copertinato di nero. Generazioni di spettatori hanno riservato la stessa, primitiva fascinazione al monolite di 2001 odissea nello spazio, o ai dinosauri che si fanno le fusa in Tree of Life.

Con un estremo sforzo di volontà, l'editor biascica qualche parola di commiato, si volta ed esce dal locale, nella sera umida e tesa.
Mentre corre verso la macchina, si sente un po' colpevole. Che altro avrebbe potuto fare, dire, consigliare, per indorargli la pillola? "Ah, sì", rimugina, "c'era quella di Stephen King: la strada dell'inferno è costellata di avverbi... Potevo dirgliela. Potevo consigliargli di leggerlo tutto, On Writing di King". Scuote la testa... Aforismi, suggerimenti e aneddoti sono utili come coriandoli a una festa in cui non è rimasto nulla da bere.
L'editor aspetta che scatti il verde, la macchina è sull'altro lato del marciapiede, e ripensa a quando, ragazzino, lesse la biografia degli U2. Era rimasto colpito dal passaggio in cui Paul Hewson alias Bono Vox annunciava al padre, un tipo tutto d'un pezzo, la decisione di dedicarsi alla musica e di voler diventare una rockstar. Col buon senso proprio di qualunque uomo meno foolish e hungry di Steve Jobs, il padre non l'aveva presa bene, riflettendo sul fatto che suonare in un garage con gli amici è una cosa, ma suonare convincendo la gente a sborsare soldi pur di ascoltarti è tutt'altra faccenda. Non è questione di denaro da guadagnare o spillare al prossimo, ma di pura e semplice onestà: questo avrebbe dovuto dire – riflette l'editor – se non fosse stato il tardo pomeriggio di un 31 dicembre, e non lo stessero aspettando a casa.

Avrebbe potuto dire che al di là degli interventi e delle malizie tecniche per far sì che una macchina narrativa viaggi a pieno regime, occorre essere onesti e chiedersi molto semplicemente se ciò che vogliamo dire ha le carte in regola per interessare qualcun altro oltre a se stessi.
Avrebbe potuto dirgli, alla Scott Fitzgerald, «il personaggio è azione», mentre questo gatto che fa, oltre a pedalare?
Ma l'altro avrebbe senz'altro riposto «e Oblomov allora?!». E in un certo senso avrebbe avuto ragione lui.

Ecco perché l'editor, ora, appena salito in macchina, prima di mettere in moto, posa sul sedile accanto il manoscritto copertinato di nero. S'è già fatto un'idea, ma lo leggerà, lo leggerà... Lo fa sempre. Non si sa mai.