giusto

 

Finalmente domenica 5 ottobre 2014 ho compreso l'Errore Decennale, e sono pronto a emendarmi. Ho capito tutto quando ho visto gli occhi lucidi di Francesco Totti che ripeteva la solita – trita – tiritera su quelli che vincono "con le buone o con le cattive", quando ho notato il cipiglio dell'ineffabile Garcià – sempre piuttosto facondo, però – che commentava le dimensioni dell'area avversaria. Credo mi sia accaduto qualcosa di molto simile a ciò che in alcune culture tribali è considerata La Visione, un'esperienza dal sapore sciamanico, con un retrogusto di avventura extracorporea.
Per qualche minuto, per qualche lunghissimo imponderabile minuto sono uscito da questo guscio d'inveterato, cocciuto tifoso romanista e ho posato sulle cose lo sguardo purissimo dell'aguglia dantesca.
Trasumanar significar per verba / non si porria, però l'essemplo basti / a cui esperienza grazia serba.
L'essemplo era là, tra quelle lagrime incipienti, fra le dolenti note a margine, nell'ennesimo coro dei defenestrati che affratellava "orribilmente" (altro avverbio dantesco) Massimo Mauro e Zvonimir Boban all'umore di un qualsiasi lupacchiotto intervistato nell'intorno cruciale dei venti minuti dal fischio finale. A caldo, come si dice. E per exempla converrà che esponga i contorni di quella mistica rivelazione, stagliata nella luce lattiginosa dell'excessus mentis. Davvero troppi, i filosofi da strapazzo che postillano il gioco "più bello del mondo". Torniamo alla certezza delle categorie. Torniamo ad Aristotele. La Juve è come i Borg di Star Trek. Sarete assimilati, la resistenza è inutile. La Juve non puoi combatterla, non è un personaggio del dramma. La Juve è come il Fato nella tragedia greca, ci stai immerso fino alla punta dei capelli e se provi a sollevare lo sguardo vieni annichilito all'istante. Ed è giusto così. Per anni abbiamo creduto che il tragico fosse una categoria perduta, soppiantata dalle vicende anche deprimenti, anche meschine del dramma borghese. Nemmeno Pasolini riusciva a convincerci del contrario. Il tragico era dileguato, come gli dèi di Heidegger, come gli dèi di Hölderlin. Liquidato in un'attesa senza forma, come gli dèi di Rilke. Niente di più sbagliato. Il dramma vive dell'interazione dei personaggi. Sulla tragedia preme invece il sottotesto di una divinità invalicabile. Abbiamo crucciato l'insondabile divinità bianconera coi nostri ridicoli tentativi di rendercela vicina, antropomorfa. Umana... La Juve non è il nemico da battere, è l'ambiente nel quale ti batti e si decide la tua sorte. Come l'aria che respiri, il cibo che mangi. La Juve è Matrix: tollera le anomalie, le mette a sistema, le ingloba. Il suo silenzio è il tuo silenzio. La saturazione verde-monitor di uno straniato mondo digitale. L'archetto diruto che pesa sui gotici apologhi di Tim Burton. Questa squadra non è il nemico, è lo Sfondo senza il quale la rappresentazione non esisterebbe. Se anche è oscura, ebbene è oscura come il buio della Genesi, che accoglie la Creazione. Dipingerla come un'esecuzione contemporanea della Tirannide non basta a definirne l'essenza più profonda, la sovrumana capacità di concludersi, come un universo perfettamente organizzato, bastante a se stesso. Che sia il Motore Immobile o il Migliore dei Mondi Possibili, la Juve è Pura Metafisica.