- Scusate... siete l'incaricato?
Alzo lo sguardo dal giornale e fisso l'uomo di fronte a me: la zazzera controvento, occhiali da sole.
- Incaricato?
- Non devo parlare con voi per gli ombrelloni?
- No.
- Scusate.
Prende e si allontana, con l'espressione di uno a cui non tornano i conti. Ormai ci ho fatto il callo. La settimana scorsa sono stato fermato da un signore molto cerimonioso - appeal rusticano canottiera & cappellaccio - che mi fa:
- Guardate, deve arrivare una ragazza in carrozzina, si dovrà aggiungere un po' di passerella. Diciamo qua, laterale, tra le due file di lettini.
- Certo, non c'è problema - ho risposto con un bel sorriso, poi sono andato a bermi un caffè. Al ritorno l'ho trovato che mi aspettava sotto l'ombrellone.
- Ma voi qua state?
- Sì... qua.
- E la passerella quando la mettono?
- E che ne so. Ma se volete una mano ve la do volentieri...
- Ma voi non siete il bagnino?
È il segno che ce l'ho fatta. Due anni di dieta e palestra, e sono perfettamente travestito. Mimetico. Ora m'invitano alle partite di beach-volley. Un tizio mi ha chiesto consigli sui tricipiti. Nel tragitto ombrellone-battigia i padri di famiglia coi nasi affondati nei tablet mi infliggono sguardi diffidenti. Se qualcuno mi chiede che lavoro faccio rispondo vago. Consulenze, e lancio gli occhi sull'orizzonte di perla in cui riesco a immaginare qualche isolotto dell'Egeo, e dritta di fronte a me la foce del Nilo. Ripasso mentalmente le dinastie dei faraoni e me ne sto lì zitto, come un personaggio montaliano, col mio segreto. La verità è che in questa punta di Calabria mi mescolo alla noia generale. Chiacchiero coi bambini che fanno amicizia con le mie figlie. C'è una ragazzina di undici anni che ha preso a benvolerle, le coccola, le accompagna sull'altalena, sistema i braccioli alla grande e mette la ciambella alla piccolina. Un giorno la portiamo a pranzo con noi:
- Stasera c'è il concerto dei Carboidrati in piazza. Ti piacciono i Carboidrati?
- Preferisco le proteine.
- Ma no, scèèèmo! Sono un gruppo di Amici!
- Raramente - osservo convinto - i nemici fanno gruppo.
Ecco là. Posso recitarti l'albero genealogico di Seti I, ma non so nulla del mondo di un'undicenne. Fino a l'altro ieri un rumoreggiare discreto, giù allo stabilimento, al passaggio di una ragazza in outfit mediorientale, ma non l'ho vista in faccia, solo un incedere di boccoli che simulavano qualcosa di nubiforme, cirro-cumuli, cumulo-nembi al profumo di caritè. È una "di qui", adesso fa la valletta per Carlo Conti, mi spiegano al bar, in un misto di invidiosa sufficienza e ben scandito orgoglio. È lei che per qualche giorno ha rotto la noia della controra satolla di bianchi frizzanti, improvvisando sceneggiate ai racchettoni o sul campo da beach. La mia noia, invece, ha qualcosa di specioso, è una falsa noia, forse una posa – come quelle dei culturisti.
Ci sarà Biagio Izzo tra qualche sera a Crotone, e la domanda che ti scotta le labbra è quando precisamente l'avanspettacolo sia diventato lo spettacolo vero e proprio. Ogni volta che insomma qualcosa non mi torna, lo infilo nella mia bisaccia di noia e lascio tutto lì a fermentare.
Distrazioni saltuarie dalla routine dell'abbronzatura, prendiamo fiato: una gita nell'entroterra. Anche quest'anno, come quasi ogni anno, San Giovanni in Fiore, che sta a un tiro di schioppo, e altri brulli paesi intrappolati fra l'arsura cinerina delle cave e le brezze salmastre della Jonica – su per la 106, poi un tuffo negli sterrati e negli asfalti sottili, roventi. Si va a vedere il castello normanno di Santa Severina, arroccata su uno sperone di roccia che a scoprirlo dal basso, dopo un gomito della strada, sembra una nave che solca silenziosamente la valle. All'ingresso del paese ti accoglie un cartello che un po' fa sorridere:
BENVENUTI A SANTA SEVERINA, AGORÀ DELLA CULTURA MEDITERRANEA
Esattamente. Come Siracusa, come...
Ormai non c'è paese o paesino in Italia che non sia l'agorà di qualche cultura autoctona o di passaggio. Non c'è paese o paesino che non sia culla di civiltà, opificio di sapienza, ricettacolo d'arte, scrigno di leggende, patria d'uomini illustri. Sempre più spesso t'imbatti nella definizione di "Città del Libro". Ed è in questa facilità alla ripetizione, in questa controvirtù dell'accumulo che puoi finalmente – ma mai in santa pace – coltivare la tua noia. In Calabria soprattutto non è mai una noia facile, la carezza che le fai è sempre contropelo, come quando vai a visitare lo scavo archeologico del tempio di Apollo Alaios, a pochi passi da Punta Alice. Arrivi, ispezioni il recinto tirato su dalla soprintendenza, e scopri che l'insieme dei resti è un sasso. È l'antica idea del perimetro, che ti si stigmatizza davanti agli occhi e ti intristisce un po'. La realtà che si ritira nel modello, i volumi ridotti a un contorno ideale. Qui tutti sembra che perseguano un ideale: il futuro (sui manifesti politici), il progresso (ma non è vecchiotto, il termine?).
Poi senti raccontare del tal ristorante, da non perdere, ci vai a mangiare ed è come entrare in un teletrasporto: raggiungi Strongoli (l'antica Petelea), la tale contrada... t'inveschi in un fiorire garbato di ulivi centenari, cisterne seicentesche ristrutturate a modo, muretti in opera incerta che chiudono lo sguardo con inaspettata dolcezza. Eccoti sbalzato in Toscana, in qualche pigro podere del Chianti. Allora rimugini amaro, ché la Calabria – lo vedi – è ancora capace di sorprenderti, ma quando meno somiglia a se stessa.
Guardo le bambine e mi chiedo se sia possibile una felicità in tutto questo. Una felicità tipicamente italiana, una felicità nonostante. E considero. Nascosta tra l'edilizia selvaggia di questi paesi dal suolo completamente pitturato di strisce blu (cives romani sumus...) c'è ancora la buona pasticceria, il pesce costa poco (ma l'iPhone costa come un iPhone, le aliquote sulla casa cono identiche al centro di Roma), e quando scendi in spiaggia riprovi ogni volta la stessa sensazione: il lido come Malacca della penisola, il caos che converge sullo stesso spezzone di rena bollente – chiacchiere in dialetti inconciliabili, strida acute di ragazzini che protestano contro la crema solare, palloni che schizzano nella stratosfera e ricadono al suolo con un tonfo polveroso – e dietro il filtro UVA della noia forse l'agnizione che la nostra pazzesca letteratura sia veramente lo specchio di un civiltà altrettanto folle (Maria De Filippi è un Rettiliano in missione esplorativa, Carlo Conti un astutissimo albino...), che col naso dentro o fuori le pagine dei libri, nei travestimenti più o meno riusciti, gli italiani siano perdutamente uguali fra loro, come nel sogno pedagogico di un De Amicis rivisto da Orwell, maledettamente uguali a se stessi.