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Finalmente i racconti di Alice Munro nella preziosa veste dei Meridiani
West Egg li celebra con un barbaglio di parole e salsedine


Gli scrittori, quelli buoni, hanno un luogo deputato. Non il luogo in cui ci si è necessariamente ritrovati a leggerli, piuttosto il luogo in cui sarebbe stato bello leggerli. A volte però avviene anche che te ne accorgi, che hai avuto la fortuna di incontrarli nel posto azzeccato. 

Ognuno ha una sua orografia della formazione. Il neon di un motel per i Fleurs du male, un prato sconfinato di verde per i racconti di Hemingway, sotto il banco di un liceo di periferia per Pasolini. L'aria che tratteggia Alice Munro è sempre color terra di Siena. Per questo il suo luogo è l'estate. Non quella della spiaggia che costringe gli occhi a chiudersi di continuo, ma quella dei terrazzi.

I nomi escono allo scoperto, si rincorrono, come allucinazioni. I destini sono funamboli, che trovano equilibrio in un'eccezionalità straordinariamente narrabile. Le porte d'accesso sono sempre porte secondarie, seccate dal sole. Nell'arteria principale scorre sangue caldo di femmina: una ferita che periodicamente si riempie e svuota. Le parole sono conchiglie, belle da portarsele a casa.

La mano della Munro è l'occhio di una grande regista: racconta storie che si srotolano come bobine perfette, per l'andamento, la durata, la fotografia e per la netta coincidenza tra il peso specifico di quello che vuole, e quello che riesce a raccontare.


Tiziana Migliaccio

 

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