Scrive Alberto Savinio: «[Egli] tirava fuori il taccuino, notava la parola e il suo significato, troppo giovane ancora per sapere che chiarire un mistero è indelicato verso il mistero stesso».
I misteri insomma soffrono, a chiarirsi.
Come l'avrebbe presa Savinio, a sapere che adesso negli scaffali di tutte le librerie troviamo soprattutto gialli, noir, polizieschi, legal thriller? E che conosciamo per nome un sacco di investigatori, per mestiere o per caso, come se fossero nostri vicini di casa?
Da un po', si sente dire da tante parti: "Siete in troppi, a scrivere gialli... Le pagine sono troppo piene di assassini, di commissari, di morti ammazzati e di fini tragiche...".
Può anche darsi, ma noi pensiamo di non essere d'accordo.
E rilanciamo: perché provare a scrivere se non si cerca di chiarire un mistero, o anche solo di avvicinarcisi, di qualsiasi genere esso sia?
I misteri e le domande sono sempre in agguato, per l'uomo. Lo chiamano piangendo, ridendo, strillando o parlando a bassa voce.
Non tutti gli scrittori poi hanno bisogno di chiarirlo per forza: spesso, talvolta, il mistero basta solo accennarlo. Con pudore, appunto, a bassa voce, proprio per non essere indelicati.
Anche Savinio ha scritto così perché provocato da un mistero: quello di cosa capita a un mistero se viene messo troppo vicino a un faro riflettore. Il suo mistero da chiarire, in controluce, ce l'aveva anche lui.

Cristiana Lardo

 

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