«Ci sono tante cose che mi esasperano e che non riesco a leggere. Qualcuno inizia con la descrizione del personaggio che si imbarca su un aereo e raddrizza il sedile. E io gli direi: tesoro, sono stata su un aereo. Dammi fiducia».

Così la pensa Amy Hempel che, guarda caso, si è formata ai workshop di scrittura creativa di Gordon Lish, l'editor più temuto di tutti i tempi, acerrimo nemico dei dettagli inutili. Estremismo? Può darsi. Ma vale la pena trarne spunto per qualche riflessione. Come si fa a decidere cosa raccontare e cosa tralasciare? Gli illuminati diranno che è una questione di intuito, suscitando tutta la nostra ammirazione. Ok. E gli altri come devono regolarsi?

La scrittura cinematografica, per sua natura estremamente sorvegliata, da questo punto di vista ha qualcosa da insegnare. In una sceneggiatura tutto ciò che non è funzionale a portare avanti la storia o a caratterizzare in modo significativo i personaggi verrà tagliato senza pietà, in barba agli scompensi causati all'autore, che era tanto affezionato a quella certa sequenza, scritta di getto sorseggiando rhum e fumando un Cohiba durante una notte di plenilunio. Le ragioni sono di carattere essenzialmente economico (al cinema ogni scena ha un costo) ma, per una volta, l'ossequio riservato al dio denaro qualche risvolto positivo sembra averlo, perché impone a chi scrive di interrogarsi a fondo, sempre, sul peso e sul valore di certe scelte.

Imbarcarsi su un aereo e raddrizzare il sedile è quasi sempre una sequenza obbligata; imbarcarsi su un aereo guardandosi più volte alle spalle e accanirsi sulla posizione del sedile senza trovare pace, all'interno di un contesto narrativo in cui ogni parte risulti necessaria all'altra, è qualcosa di molto diverso: senso, promessa, storia.

Mira Costanzo

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