Si può partire con autoironia (ma se non siete inglesi, lasciate perdere):
«C’è chi legge per istruirsi, ed è cosa encomiabile, e chi per diletto, ed è cosa innocua; ma altri, e non sono pochi, leggono perché non possono farne a meno, e direi che ciò non è né innocuo né encomiabile. Io faccio parte di questa deplorevole categoria…»
(La sacca dei libri, W. Somerset Maugham)

 

 Con piglio extradiegetico:
«C’era una volta… – Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno…»
(Pinocchio, Carlo Collodi)

 

 Da sordide atmosfere (effetto sexy garantito):
«Fumo, sudore: alle tre del mattino l’odore di un casinò dove si gioca forte è nauseante. […] All’improvviso James Bond si era accorto di essere stanco»
(Casino Royale, Ian Fleming)

 

O da noie pomeridiane:
«Alice cominciava a essere veramente stufa di star seduta senza far niente accanto alla sorella, sulla riva del fiume. Una o due volte aveva provato a dare un’occhiata al libro… «Che me ne faccio di un libro senza figure e senza filastrocche?», pensava Alice […] quando ecco che improvvisamente le passò proprio davanti un Coniglio Bianco con gli occhi rosa»
(Alice nel paese delle meraviglie, Lewis Carrol)

 

A volte basta un solo graffio (e la genialità si sente, anche non è l’attacco vero e proprio):
«Tutti i bambini crescono. Tranne uno»
(Peter Pan, James Barrie)

 

Mentre altre volte il benvenuto è sontuoso:
«Sollecitato dal conte Trelawney, dal dottor Livesey e dal resto della brigata a scrivere la storia della nostra avventura all’Isola del Tesoro, con tutti i suoi particolari, nessuno escluso, salvo la posizione dell’isola, e ciò perché una parte del tesoro vi è ancora nascosta, io prendo la penna nell’anno di grazia 17…»
(L’Isola del Tesoro, Robert L. Stevenson)

 

C’è lo sbruffone (iconic):
«Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com’è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield, ma a me non mi va proprio di parlarne»
(Il giovane Holden, J.D. Salinger)

 

C’è lo sbruffone (heritage):
«Avrei voluto che mio padre e mia madre, o in verità entrambi, poiché entrambi erano tenuti a farlo, pensassero a quello che facevano quando mi hanno concepito; se avessero debitamente considerato quanto alta fosse la posta in gioco;—che non solo ne sarebbe derivata la procreazione di un Essere razionale, ma che molto probabilmente la felice conformazione e costituzione fisica del suo corpo, forse il suo ingegno e la struttura stessa della sua mente;—e per quanto potevano saperne, perfino la fortuna di tutta la sua famiglia avrebbero potuto essere condizionati dagli umori e dalle inclinazioni prevalenti in quel momento:——Se avessero debitamente soppesato e riflettuto a tutto ciò, e agito di conseguenza,——sono profondamente convinto che il posto da me occupato nel mondo sarebbe stato molto diverso, da quello in cui è probabile che il lettore mi veda».
(Vita e opinioni di Tristram Shandy, Laurence Sterne)

 

E chi vuole farci paura:
«Il terrore che sarebbe durato per ventotto anni, ma forse di più, ebbe inizio, per quel che mi è dato di sapere e narrare, con una barchetta di carta di giornale che scendeva lungo un marciapiede in un rivolo gonfio di pioggia»
(IT, Stephen King)

 

Chi è pungente con sentimento (ma per riuscirci bisogna essere lei):
«È una verità universalmente riconosciuta, che uno scapolo in possesso di un'ampia fortuna debba avere bisogno di una moglie. Per quanto poco si possa sapere circa i sentimenti o i punti di vista di un uomo del genere al suo primo apparire nel vicinato, questa verità è così saldamente fissata nelle menti delle famiglie del circondario, da considerarlo di legittima proprietà di una o l’altra delle loro figlie»
(Orgoglio e pregiudizio, Jane Austen)

 

E chi, con saggezza antica, aveva già detto tutto:
«Queste cose non avvennero mai, ma sono sempre»
(Degli dèi e del mondo, Salustio)

 

…Ma qualunque sia l’incipit del vostro romanzo preferito, è sempre una faccenda di desiderio. Il desiderio spinge al primo passo, il desiderio è ciò che motiva chi scrive come chi legge: l’ansia di guardare altrove, di trovarci dove ancora non siamo, di sperimentare, direttamente o per interposta persona, piani differenti di realtà.

Non è Jay Gatsby a restare vittima del suo sogno romantico, non è Portnoy a lamentarsi di tutto, né Gulliver a trovarsi invischiato tra nanetti e altre strane creature. Siamo noi; noi che leggiamo; e sono loro, Scott Fitzgerald, Philip Roth e Jonathan Swift, mentre scrivevano quelle celebri storie.
Un libro vive indipendentemente dal suo autore. Come una voce pronta a intrecciarsi ad altre voci, le nostre, per arricchirle e mostrare possibilità nuove.

Un romanzo cos’è, se non una proposta che si fa incontro ai nostri desideri? Come un’automobile nuova, un casa dove cominciare o ricominciare una vita, una crociera ai Caraibi, un conto corrente adatto a noi, un bicchiere di brandy, un televisore più grande… Ma una storia ben raccontata, rispetto alle cose di cui, auspicabilmente o meno, è costellata la propria esistenza, sa donarci la tridimensionalità del contesto, tracciare più efficacemente di qualunque spot o campagna pubblicitaria i confini dell’esperienza complessiva in cui singoli episodi e oggetti e psicologie interagiscono, fino a tessere nel loro insieme la trama della vita. La vita che desideriamo, o temiamo, o entrambe le cose insieme, o alla quale non avevamo mai pensato. Ogni libro, ogni narrazione, di quella vita ce ne offre un pezzetto, ed è tutto ciò che possiamo avere. Il resto, appunto, è desiderio, e possibilità infinita di andargli incontro, ancora e ancora.