Partenope beach Naples 1984


Il terzo vertice del triangolo delle Bermude nel quale sono scomparso quest’estate sta a Ovest. Naturalmente, ciò ha senso in rapporto alla posizione degli altri due vertici. A Nord abbiamo la Francia: viaggio enogastronomico nelle campagne ai confini con l’Alsazia: non ricordo praticamente niente. A Est abbiamo sperimentato una località in faccia al catino dell’Adriatico. A Ovest, eccoci, abbiamo il più congeniale mar Tirreno. L’ultima tappa prima di tornare a essere inquadrato sul radar degli esistenti.

Il tempo di sfilare dalla libreria La messa dei villeggianti di Mario Soldati, ficcare in valigia un altro paio di cambi, e via di nuovo.

Lo scenario è Punta Ala. La Maremma scorbutica e bella, come una donna del beau monde irruvidita dall’età e dalle sigarette che nemmeno si trucca più. Punta Ala che sa di vecchi adagiati sulla comoda disperazione delle loro vite, consumate dall’intensità bruciante del potere d’acquisto, il vuoto che quella stessa intensità non ha potuto fare a meno di scavare, come una ferita che il tempo non rimarginerà. Glielo leggi in faccia, mentre dalla filodiffusione sulla spiaggia dello yacht club ulula Lucio Battisti con la sua Collina dei ciliegi; lo scorgi nelle zazzere pittate di argento o biondo-marinaio, nei loro occhi da gatto semichiusi, nelle labbra tirate, nelle rughe che increspano volti abbronzati, nei corpi diruti di settantenni che hanno avuto e vogliono le cose come dicono loro, perché tutto è sempre andato bene, il suocero palazzinaro ha mantenuto quel che aveva promesso quando, una lontanissima estate, la guerra un ricordo freschissimo, il giovane Felicioni neo diplomato (che ci vai a fare all’università? Sei ragioniere, vai a guadagnare: altri tempi) è stato presentato in casa da quella ragazzotta conosciuta ai bagni, e chi se l’aspettava che quella tipetta coi denti cavallini, l’unica che si era fatta strusciare un po’ all’ombra soffocante delle cabine, vivesse in un villone così? Alto sulla collina, uno squarcio bianco nel manto di pini e ginepri, come un sorriso rivolto al mare laggiù. Il prato inglese, pure due colonne all’ingresso, e il cameriere candido, ed ecco il padre, blazer sartoriale, pappagorgia da predatore mai sazio, il vecchio Casarin della EdilCasarin. Non è classista lui, per la figlia non vuole un tre quarti di nobiltà con le ragnatele nelle tasche. Vuole sangue svelto e fame. Hai fame, tu? Vieni a tavola che è pronto, Doris il venerdì prepara l’aragosta alla catalana... Ragioniere eh?, bene, bravo...
Una manata sulla schiena a sancire il patto. Così è, così sarà, perché tu ti sei preso mia figlia, e io mi prendo il tuo futuro e poi te lo rendo infiocchettato a dovere.

E il giovane Felicioni strabuzza gli occhi, timido, ma siede a quella tavola, il sorriso tutto denti della ragazzotta Carlottina lo incoraggia, «la Carlottina ha litigato col Giancarlo, povero Giangi non si dà pace…», si serve vino frizzante e indiscrezioni e rossori e altri sorrisi e la visione fulminea di un futuro accentato da diminutivi e vezzeggiativi acuti come voci di chihuahua, il Felicioni ha un brivido, la tentazione di scappar via, l’ultima, poi è vita. È intensità da Boom italico, da C’eravamo tanto amati, da ricchezza che piove veloce, da macchine con autista e voli per Milano, Londra, Parigi, perfino New York, quasi ogni settimana. È lavoro febbrile, anni che passano, Costa Smeralda in estate e Cortina d’inverno, amici al Senato, figli tossici, India, altri anni ancora, nipoti ultramasterizzati in fuga a Shangai per fare i digital project marketing manager... è segretarie e hostess impellicciate a proprie spese, il cerchio infinito di volti femminili da guardare sempre allo stesso modo, che sussurranno sempre le stesse speranze dalle labbra mute e dagli occhi ingenui appesi al tempo che scorre in fretta, volti di donne da illudere e poi spegnere, e l’identico lucore di lacrime nuove su guance e mento, addii finti, taxi, biglietti di treno e ascensori d’albergo. Vita di mogli con dentature ora perfette, stanche e avvelenate, avvocati e contratti, golf con l’assessore ai lavori pubblici e psicanalisi, messe e beneficienza. Tutti quei silenzi, quelle solitudini, quell’onnipotenza erotica, quegli odii forti e amori brevi; tutto quel denaro, quelle accelerazioni su intrabordo Mangusta tra cuscini bianchi, culi e aperitivi, e le menzogne inflitte e subite, ritorni a casa con porte che si aprono da sole sul deserto di un matrimonio e di una famiglia tenuta insieme dal nome e dal denaro...

È tutto sui volti di questi vecchi e delle loro mogli fiere, nei lini bianchi e pullover rosa, gambe accavallate sul vimini di lounge bar con vista porto, tradizionali Bellini e Martini e Mojito tengono a distanza la carica dei Moscow Mule.

Tutto nei vecchi di Punta Ala, ex ras della Democrazia Cristiana (la maggior parte delle rare ville acquattate nella macchia appartengono a loro, ma le due o tre davvero spettacolari se le sono accaparrate i russi), tondinari del bergamasco, scribacchini di successo, Gianni Minoli che divora granchi al Molo G., l’attore americano famoso-ma-non-troppo Josh Brolin che beve cappuccino al Piccolo Bar, transita Enrico Letta curvo e triste come una sedia di plastica, Donatella Bianchi che scalza Barbra Streisand dal trono di brutta più bella del mondo, e i più giovani, i figli, i nipoti, che come gatti pigri imbiondati di salsedine scivolano fuori dalle barche o dalle case intorno alla piazzetta, ricercata trascuratezza, pantaloni bianchi e felpe a righe blu, i più giovani che si vedono poco, stretti in una manciata di ore tra il post cena e la discoteca alla Vela o a Cala Felice, seduti in fila sul muretto davanti al Piccolo e al Porticciolo con il loro spritz. Le ragazze dai capelli lunghi ancora umidi, gli zigomi arrossati, leggere come aquiloni. Le ragazze e i ragazzi che non sembrano tali ma la versione senza rughe dei loro genitori, arroganti, famelici, vocianti, sempre annoiati. L’aria stiracchiata dalle lunghe vocali lombarde, accenti di benessere padano assediati dall’oscurità di idiomi slavi. Il Russo impera. Il Russo è ricchezza senza fondo, pericolo e potere da spy story. Il Russo ha comprato l’ex castello di Italo Balbo – anzi no, l’ha comprato Roberto Polito della Baglioni Hotel – che atterrava qui col suo idrovolante quando ancora Punta Ala si chiamava Punta Troia, un destino storico prima che ci venissero Re Juan Carlos o Patrizio Bertelli.

La nube acquorea di lumbard e slavo e musica da piano bar si allarga nella notte di fine stagione, e tu passeggi durante l’ora dell’aperitivo, ripensando ai bagni della giornata, nell’acqua alta e verde oltre gli scogli dei Porcellini. Pensi alle maglie di sole sul fondale sabbioso e all’estate che è finita. Alla tua famiglia che sembra lontanissima mentre si macera nei suoi veleni e tu ti mantieni a egoistica distanza. Il male che ti fa. Gli impegni che ti aspettano a settembre, i libri che volevi leggere e non hai letto, ciò che volevi scrivere e quello che hai scritto. Ripensi ai prendisole trasparenti che annuiscono al passo milfeggiante di madri tettute che comprano taglie di tempo. E le giovani madri sputate dall’oligarchia russa, ucraina, moldava, ventisei anni e già tre bimbi, splendide magre e tristi come stelle sfilacciate.

Ma non è questo. Non è il bagno al mare di buon mattino. Non è la silhouette dello Sparviero, le gocce salate che si seccano su labbra e ciglia, la colazione solitaria guardando il sole che, lento dopo lo strappo iniziale, si stacca dalla linea del mare. Se vedi, immagini e stai bene, ora, è per Mario Soldati.

Ripensi a Mario Soldati. A ciò che gli devi: questa notte gli devi ciò che vedi, come lo vedi. Gli devi il riconquistato gusto per l’inseguirsi di Verità e Vita, ma la verità poi cos’è, è solo il senso che ti piace dare alle cose e a te stesso nelle cose, è quel gioco di specchi, è il mare reale davanti a te che nel frattempo il mare lo leggi in un libro, nelle azzurranze e scaglie tremolanti di sole sull’acqua e luna che fa del mare una pista da ballo e in altre infinite evocazioni di autori più o meno buoni...

La Verità, e la corrente che la innerva... È la necessità sempre viva, a lungo frustrata, di penetrare la realtà con altri occhi, confermarla e impreziosirla grazie a suggerimenti di altre voci, altri sguardi. È la tua vita che ha bisogno di altre vite, la Verità. E questo gusto, questo compromettersi con gli altri quale unica strada per l’unica ricchezza, l’unico senso, ciò che Mario Soldati rischia di farmi ritrovare dopo anni. In questi racconti barra elzeviri barra ricordi barra frammenti barra bozzetti ecc. c’è un frugare il presente alla ricerca del passato, senza rifiutare il futuro ma chiedendosi, e chiedendoselo di continuo con pacato coraggio, da dove venga l’eco luminosa di ciò che è stato; e ammettere che non c’è mai stata alcuna luce, o forse sì, forse era oggettivamente meglio prima, l’adolescenza o giovinezza non c’entrano. Il dubbio resta, il dubbio di quanto si sia rimasti fedeli ai propri ricordi, alla prima impressione di bellezza e felicità, quando davvero per la prima volta ci siamo scoperti estasiati, gli scogli sotto i piedi pungevano più del riccio di mare che tuo padre ti aveva posato sul palmo, con l'altra mano stringevi il suo coltello da sub, il coltello da sub di tuo padre, e ancora non c'era la tentazione di scriverci sopra niente... Il dubbio resta, quanto la certezza che solo altrove – in quella Verità indovinata nel rapporto con gli altri, e con l’alterità scomoda e irriducibile che noi stessi nascondiamo – è possibile trovare una pur parziale pienezza, un riflesso di felicità, la più nitida impronta di un ricordo, di un momento in cui abbiamo sentito davvero di esserci, e di essere ciò che volevamo. Non è più così, non può più esserlo, perché quella pienezza, se mai c’è stata per un solo attimo, si è corrotta ed erosa: noi non aumentiamo, con gli anni. Si parte pieni, poi ci si consuma. Mica vero che col tempo si matura, si cresce, ci si completa. Ciò che chiamiamo esperienza non è che la capacità di accettare. Ma siamo sempre noi, sempre gli stessi, un po’ più poveri, alla ricerca di qualcosa che abbiamo presentito chissà quando, magari un ultimo giorno di scuola – non sono infiniti, gli ultimi giorni di scuola, ma così ci sono sembrati durante quei tredici anni in cui hanno continuato a venirci incontro, tornare da noi come una cugina di Milano di cui eravamo innamorati.

Sono ancora qui, al porto, ma l’estate è finita. Questa cosa mi fa soffrire, infinitamente più di quando ero bambino... una stranezza. Di questa “stranezza” conosco l’ovvietà universale, la piattezza sconsolante. Ma chissà, Mario Soldati, o chi per lui, altre pagine e altri sguardi sul mondo, nelle settimane e mesi a venire, durante un altro inverno e poi ancora nell’ennesima estate – queste estati che chissà per quanto ancora continueranno a sembrarmi infinite –, soccorreranno la verità, sottraendola alla banalità di quel che tutti sappiamo.

Quanto amo i libri, ed è la forma meno faticosa di amicizia, di amore. E se a scriverli è qualcuno come Mario Soldati, o come Parise, o La Capria, o Scott Fitzgerald, o Cheever, i libri sono il senso del mondo che nella vita reale abbiamo paura di toccare. Sono gli Altri, che allontanano la nostra solitudine e ci sussurrano: «Coraggio, siamo in due, andrà tutto bene».


*Partenope beach, Naples, 1984. Photograph by John Vink/Magnum.