Si sta godendo la domenica pomeriggio addomesticata. Di andare al mare non se ne parla. Troppo traffico, troppo caldo, troppa voglia ci vuole. A casa, sul divano, con    tutte le finestre aperte per far circolare l’aria, ostinato com’è a non usare il condizionatore, non per coscienza ecologista ma perché non ha voglia di pulire i filtri che mai ha pulito negli ultimi tre anni, e si scopre ad aver paura che i consigli di sua madre, proprio ora che sta lontana centinaia di chilometri, anzi di miglia, col Mar Tirreno di mezzo, manifestino un’oscura tendenza al vero, alla premonizione azzeccata di vie respiratorie compromesse, microbi sparsi per tutta casa dall’aggeggio privo di manutenzione adeguata, sul divano e un po’ boccheggiando in verità legge un giallo.

Non è un lettore abituale di gialli, ma in questo periodo dell’anno può diventarlo. Estate, soprattutto l’inizio, quando ancora non si è partiti per le vacanze, si continua a lavorare ma con affanno, chi può farlo diluendo gli impegni con corsette serali, nuotatine in piscina, un paio di strappi muscolari al vogatore, tagliati in due dalla follia di qualche addominale, tanto per non dire che non ci abbiamo provato, a rimetterci in forma per la spiaggia. E acqua, bere tanta acqua che fa bene. E la sonnolenza post prandiale, spicchi scoloriti di ombrelloni nella testa, e sempre nella testa immagini di tavolini, Verdicchio gelato, qualcuno gioca a carte al tavolo accanto, basta gamberoni che fa caldo e voglio farmi il bagno, una sigaretta, strade deserte nella sua città, quella Piccola dov’è nato, ché in quella Grande sembra che in vacanza non ci vada più nessuno.

Sono “istantanee” che inducono all’“evasione”, parole stanche che riescono sempre a farsi usare. Gli occhi si alzano dal libro, e continua a cercare al di là della pagina la suggestione di un mondo a misura d’uomo, retorica che gli piace/non gli piace, i tavolini li rivede, le strade strette della città Piccola dove nessuno ancora si azzarda a parcheggiare in tripla fila, il mare non lontano, uno di quegli scenari in cui si muovono a passo lento i commissari dei “gialli all’italiana”. Tutti figli della provincia. Anche quelli romani, o torinesi, o milanesi, ché tanto vengono sempre dal Sud o da un indefinito, piccolo Centro (La Sicilia, ok. La Campania, vabbe’. Ma dove sta il Molise? Dov’è realmente l’Abruzzo?). E la fiacchezza del commissario accaldato è la sua. Stessa pigrizia. Lo sguardo su persone e cose è una facile conferma alle sue malinconie. La provincia è ovunque. La routine che protegge da tutto tranne che da se stessi. Che uccide lenta anestetizzando. Piero Chiara, altro che Andrea VitaliDotto’ ecco il suo caffè in tazza fredda, e il commissario beve e ringrazia. Due parole con il giornalaio. La moglie che vuole andare al mare ma lui non può, hanno ammazzato un tizio, un pescatore a… a Mazàra Del Vallo. Gli tocca lavorare.

La polo si è incollata alla schiena, si sistema meglio sul divano e legge. Legge s'arrisbigliò e un brivido cavallino lo scuote assecondando. Legge sudatizzo e si ricurcòlinzolo e vìrrina (1), e non sa se gli piace, ma continua. Tra quelle righe vuole e cerca se stesso, i suoi stessi risvegli stufi, la pesantezza di rivoltarsi e mettere i piedi giù dal letto; vuole il giornalaio e il solito caffè al solito bar, la telefonata che rompe l'anima, il collo sudato stretto nella camicia, l'aria di luglio che pesa. Poi c'è l'indagine , certo. C'è Montalbano che litiga col Questore e manda al diavolo Catarella. Ma questo serve solo per vincere la sonnolenza e fargli voltare pagina. Se fosse tutto lì, un colpevole da stanare, già dormirebbe.

 Se ne sta al mare, sotto l’ombrellone e sopra la sdraio. Il lettino non gli piace, con lo schienale che non riesce mai a regolare bene (c’è un anello legato a una cordicella, dietro: lo tira ma… funziona? Qualcuno ci riesce?). Il lettino è ottuso, una L sempre rigida. La sdraio è una curva accogliente. Legge un giallo, già infastidito perché il sole si è spostato e i piedi bruciano fuori dal cerchio d’ombra. Legge Ricordo molto bene… e Ero arrivato in studio da un quarto d’ora e non avevo nessuna voglia di lavorare. Legge queste frasi spiattellate dalla prima persona, l’accessibilità totale, simile al vuoto, spazio senza ostacoli, dove non ci si può fermare. Va avanti a leggere. L’avvocato Guerrieri è un po’ più sportivo del commissario siciliano, un po’ più vicino a noi, giovane come noi, furbo negli spunti romantico filosofici alla Fabio Volo, con lui che nelle ultime righe del libro se ne sta sul balcone, ha deciso che la chiamerà, anche se non sa cosà le dirà, e pensa: pensa a tutte queste cose e ad altre, e che non scambierebbe mai quel momento, Con niente, in tutto il mondo (2). Pensa senza la cadenza senile di Montalbano. Scansa il dialetto, ma l’altro parla meglio. I vecchi, e i siciliani, sembra che parlino sempre meglio. Se il libro non l’ha finito già al pomeriggio, è solo perché il sonno ha vinto, troppo vino bianco, i piedi e le gambe arrossati, il vociare della spiaggia che si allenta e comprime intorno come una membrana, vieni a fare il bagno – no.

Si gode la domenica pomeriggio a casa. Il condizionatore è fisso su un bel 25 gradi. Di meno gli sembra che potrebbe fargli male. I filtri non sono stati puliti. Ma è un momento di ribellione, il suo. Infatti basta gialli. Ma non si è allontanato di molto. Un noir. Oddio, un noir italico, intellettualizzato. Qui si vuole che la differenza si noti subito, soprattutto rispetto alla sportiva accessibilità dell’avvocato. Si leggono cose come Questo teneva il ciclo delle falene a uno stato di immanenza (3). L’impressione è di leggere qualcosa di importante o che molti, alla Parise, giudicherebbero «segno della propria importanza ritenere importante».

È un autore così, quello che sta leggendo. Anche se non così importante da riversare la propria importanza sui suoi fan.

Ma è un bravo autore, e di fatto ha scritto un noir, una vicenda di crudeltà e corruzione che si dà al lettore con gran mescita di piani temporali, simili a zolle di terra secca sbalzate dal feroce sole di Puglia. E quella terra crepata e quel sole, ça va sans dire, rappresentano in realtà l’Italia tutta.

Ma il noir non è abbastanza noir. Il libro è pure bello e lo finirà, per onorare Premio e fascetta, ma non è quel che cerca per assecondare le sue debolezze e derive di inizio estate. Non ci sono caffè né chiacchiere ripetute, non ci sono pigrizie, né cervello fino nonostante la noia e la disillusione di chi indaga per mestiere, il languore della routine interrotta da uno squillo di telefono allarmato, e poi ancora la routine nonostante tutto. Pomeriggi infiniti grattati dalle cicale, e quella voglia di lasciarsi andare al dolce nulla che a volte può essere la vita. Invece qui, nell’italico noir, è tutto un mordi tu che mordo io, una tensione che non vien bene a dirla, lordura e fame e zanne e sangue. Manciate di cronaca gettate sulla pagina, action painting di realtà, verità anabolizzata, il terrore e l’inferno poeticizzati a forza dalla lingua, l’uomo spoeticizzato dal giudizio che invade ogni paragrafo.

La letteratura deve fare questo, però. Interpretare, denunciare, risvegliare eccetera. Non si dice così?

Ma a inizio estate lui preferisce sonnecchiare con i gialli, dove non c’è quasi mai delitto senza castigo e, se il castigo manca, è perché c’è pietà per i vinti. Preferisce la bonomia digestiva di «Cosa mi sai dire di questo poveraccio?». «Come prima impressione direi che l’aggressore non voleva dargli una lezione. […] Questa sembra più una vendetta. Come dite voi vendetta?». «Dalle mie parti i vecchi dicono: ’a scurdata» (4), personaggi come tal Salvatore Vivacqua, commissari con la cartolina nel nome.

Di pietà abbiamo bisogno, specie in questo momento. Per il caldo, per la nostra vaghezza, per i tempi e i luoghi che in estate più che mai ci feriscono a morte: ma fuori dalla letteratura, chi ha voglia di prendere un treno? Evaporata la vitalità struggente dei leoni al sole, quel Philippe Leroy che fa il suo gioco («vogliono il napoletano…», e Franca Valeri sorrideva da milanese), e resta il nostro rincorrere sogni di tranquillità e piccole città in vacanza, una ripetitività complice e umana che è la ninna nanna alla quale chiudiamo gli occhi, mentre il sole pomeridiano filtra dalle persiane semichiuse come nel manifesto di American Gigolo.

Ma pini invece che palme… e un mare senza surf né case di vetro né lini di Armani. Il giornale al mattino, da sfogliare finalmente con calma, dopo un umido risveglio.

Julian Kay.
Pensiero matto…
Julian Kay s’arrisbigliò malamente: i linzòla, nel sudatizzo del sonno agitato per via del chilo e mezzo di sarde che s’era sbafàto…

 
1 Andrea Camilleri, Il ladro di merendine, Sellerio ed. Palermo,   1996
2 Gianrico Carofiglio, Testimone inconsapevole, Sellerio ed. Palermo, 2002
3 Nicola Lagioia, La Ferocia, Einaudi, 2014
4 Carlo F. De Filippis, Le molliche del commissario, Giunti, 2015