Art by Lizbeth Zwerger


Quella mattina l'ingegner G. si svegliò presto. Amava mettere la sveglia prima del dovuto per aver modo di rigirarsi un po' tra le lenzuola a caccia di zone fresche e per lasciare che i sogni sfumassero via lentamente: "Che bello", fece fra sé, si sentiva leggero, ben riposato, un leone.

Camminando verso il bagno spiò con la coda dell'occhio il suo corpo elastico e abbronzato che si rifletteva nello specchio della camera da letto: "Cinquantasette anni", pensò, "non me li sento pr

opr...". La frase gli si fermò sulle labbra. Tornò indietro e ripassò davanti allo specchio: "Ma che diavolo...". Rifece tutto da capo, una, due, tre

volte. Indietreggiava di qualche passo e si ripresentava di fronte allo specchio, faceva capolino e si ritraeva. Provò anche a fare un piccolo salto, in modo da trovarsi riflesso nello specchio di colpo, per poi risaltare fuori allo stesso modo dalla parte opposta. Niente. Per quanto facesse, il curioso fenomeno si ripeteva.
Era un nulla, a pensarci bene, un'isteresi quasi impercettibile, un rallentamento minimo ma incongruo, come se la sua immagine riflessa si muovesse in qualche universo vischioso: il suo riflesso arrivava in ritardo.
Di poco, ma in ritardo.
Sotto la doccia pensò di telefonare al medico: "Saranno gli occhi, oppure la pressione".
Lo consolava pensare a questa faccenda della pressione, sarebbe bastata qualche pillola per alzarla o abbassarla, a seconda, come tarare una valvola, roba da ingegneri. Chiuse l'acqua e si pass

ò rapidamente una mano davanti agli occhi, constatando con piacere che le dita seguivano una traiettoria precisa andandosi a fermare esattamente dove lui aveva previsto, senza anticipo né ritardo. Sorrise. "Non è niente, si vede che ero ancora addormentato".
Poi cominciò a radersi. Lo specchio del bagno era appannato e lui si guardò bene dal passarci una mano sopra come avrebbe fatto in un giorno normale, uno di quelli in cui i riflessi si comportano come ci si aspetta che facciano. Andava un po' a tentoni, ma sentiva la barba con la punta delle dita e l'operazione gli riuscì abbastanza bene.
Un buon caffè lo rafforzò nella convinzione che non ci fosse niente di anormale in quella mattina radiosa di settembre e che gli specchi si sarebbero rimessi in riga per restituire immagini incontrovertibili, oggettive, reali e non tardive: «Che diamine!», concluse dando un morso a una fetta biscottata.

Ritemprato, prese a scegliere con cura l'abito da indossare. Decise per un completo chiaro che ben si adattava a quella giornata già calda, una camicia scura e una bella cravatta di seta che annodò con cura, evitando di effettuare la manovra davanti allo specchio.
La camicia leggera gli accarezzava la pelle e, ravviandosi i capelli con la mano, si ritrovò davanti allo specchio dell'ingresso. Ci arrivò di fronte a occhi chiusi, giusto per evitare ritardi fuori luogo, e di colpo li aprì per guardarsi.
Il cuore fece un balzo: «Mio Dio... non è... non è...».
Lo specchio gli restituiva l'immagine ben definita di sé, con indosso un completo scuro al di sotto del quale spiccava una camicia di un bianchezza quasi fosforescente.

Si sentiva riposato l'ingegner G. in quella mattina radiosa di settembre, anche se aveva messo la sveglia prima del solito. Lo faceva spesso per dare tempo ai sogni di svanire lentamente e andarsene a caccia di zone fresche fra le lenzuola. Secondo il medico legale era morto nel sonno, una fortuna che capita a pochi.
Uscendo dalla camera da letto il dottore lanciò uno sguardo allo specchio, così, giusto per vedere se tutto era in ordine, e per un attimo gli sembrò che la sua immagine fosse in ritardo.

 

Andrea Ferrari Nato a Reggio Emilia, vive e lavora a Torino. I suoi primi due romanzi, Passaggi di tempo (2007) e H (2008), sono stati pubblicati da Fazi Editore.

* Art by Lizbeth Zwerger