2013 David Sykes

 

Negli Stati Uniti hanno iniziato a inserire l'indicazione delle Kcal nei menu delle grandi catene di ristorazione. Starbucks lo fa già da un pezzo.

L'obesità, laggiù, è un problema che ha costi sociali maggiori che altrove, e il Food and Drug Administration (l'ente governativo responsabile della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici) ha pensato, con una legge ad hoc, di schiaffare in faccia a tutti il peso reale di quel che papà e mamma Jones ingeriscono durante il ritualistico mercoledì sera "Cinema+MacBurger" di casa Jones, con i sig.ri Jones e i piccoli Jack, Bobby e Joseph Jones Junior in fila per due alla biglietteria del multisala, e poi di nuovo in fila per ordinare un Big Maxi Texan ecc. ecc. con cui chiudere in bellezza.

Non sappiamo se papà Jones, che già pregustava il suo manzo tra due cuscini di pane, si sia ritratto inorridito notando il sinistro numeretto stampigliato sul menu. Però ci piace immaginare che un attimo dopo abbia sospirato di sollievo: "Fiuuu, per un attimo avevo pensato fosse il prezzo!".

Invece no, sono le Kcal. Qualcosa di cui il piccolo Joseph, il pestifero di casa, e Bobby, quello di mezzo, ignorano perfino l'esistenza. Jack, forse lui, sa qualcosa in merito: sta attento a non ingrassare, il prossimo anno inizia il liceo, e papà ci tiene che entri nella squadra di football, e lì non scherzano, tra diete, allenamenti e steroidi.

In poche parole, non esistono ancora studi scientifici in grado di dimostrare l'efficacia di una simile trovata. Certamente è forte negli USA la pressione per l'approvazione di questa legge, con l'ottimistica previsione che le informazioni sulle calorie di ogni piatto contribuiranno all'educazione alimentare e a condizionare le scelte degli avventori.

Il problema, di cui in realtà non mi frega granché (sempre stato magrissimo), è però suscettibile di riflessioni collaterali circa il nostro bisogno di sentirci bacchettati. Gli esempi, anche in casa nostra, non mancano.

Quella sorta di pittoresco Memento Mori applicato ai pacchetti di sigarette ha forse fatto diminuire il numero dei fumatori?

Senz'altro, pensavo io...

Manco per sogno!, mi ha assicurato un responsabile marketing impiegato nell'industria del tabacco con cui ho avuto occasione di scambiare due chiacchiere tempo fa. ‎Anzi!, ha detto tutto allegro.

È quell'anzi che fa pensare.

Al di là delle motivazioni tecnico commerciali, è facile considerare che l'educazione a una vita sana, a un'alimentazione corretta, al rispetto di sé e dell'ambiente debba innanzitutto partire dalle famiglie: se uno mangia bomboloni alla crema tutte le mattine a colazione, e pastasciutta e carne rossa ogni santo giorno, a pranzo e a cena, vuol dire che il concetto di caloria è totalmente estraneo al suo orizzonte cognitivo; ‎che la sigla Kcal su un pacchetto di crackers sguscia via quanto le istruzioni in swahili in fondo al libretto d'istruzioni del nuovo cellulare. Figuriamoci se la stessa sigla occhieggia accanto a un bell'hamburger su un menu plastificato.

Io so che mangiare muffin ai mirtilli ogni mattina da Starbucks non contribuirà a mantenermi in forma; ma se voglio mangiare un muffin ai mirtilli preferisco che non mi si ricordi ‎quanti nuovi grammi o etti sto stipando nel mio girovita.

Se è vero però che gli esami non finiscono mai, non è solo per l'insistito agonismo cui la vita ci obbliga, ma anche perché amiamo pensarci come eterni studenti: a quando la prossima ricreazione?, e tra un po' arriva un altro sabato, un altro weekend da consumare, oggi l'ho scampata con la prof di latino...

Ancora un orizzonte di attesa, che si dilata come un elastico oltre la contrazione del compito in classe, rimbalza sul piglio duro del preside, e naturalmente, malinconicamente, quell'elastico slabbrato a un certo punto non s'allunga più, è dietro di noi, e lo cerchiamo, maneggiamo... Inutile.

Allora dateci ancora un banco e una cattedra, un registro e un'occhiata severa. Dateci un'interrogazione, un esame, e non si fuma nei bagni.!

Diteci, vi prego, cosa fa bene e cosa fa male. Ne abbiamo bisogno. Più dell'educazione, più del materno "Studia, che poi vedrai un domani...", potrà la paura del compito in classe.

* Photo ©David Sykes