screenshot



Sono pieni di verità non proprio solenni, i romanzi cosiddetti portatori di verità. Penso alla scena d'apertura dell'Onegin di Puskin: lo "scapestrato" Evgenij è là che attende al capezzale del vecchio zio, modello d'ogni umana virtù. E cosa fa il nostro eroe al cospetto del moribondo? Si rompe mortalmente il cazzo, e non vede l'ora di scapparsene a teatro. Dio ci sollevi dall'accudire i moribondi!

C'è un uomo fermo in macchina, «da qualche parte nell'Appalachia». Ha una rivoltella in tasca. Aspetta. Indossa un maglione con due strani fori circolari. Sono colpi di proiettile che lui stesso ha sparato, dopo aver appeso il maglione a un albero, per provare la mira. Si sta esercitando, perché vuole uccidere un altro uomo. Sembra Cormac McCarthy, ma è Lolita. Da qualche parte, in Nabokov, spunta sempre fuori una saggezza (una metodica, un sistema di luci intellettuali) legata all'assassinio - assieme alle effrazioni operate su di essa: è il lato invariabilmente umano, invariabilmente comico, della grande letteratura. In Guarda gli arlecchini si racconta l'esecuzione di un condannato a morte. Uno dei carnefici arriva per mettergli il cappuccio, e lui gli fa: "Adesso non precipitiamo le cose". Quanto a dire che c'è modo e modo, per starsene a un pelo dalla distruzione.

Quando è morta mia madre ho avuto due distinte crisi: la prima, straziante, mi ha spinto a raggomitolarmi nel mio silenzio simil-ebete in un angolo remoto del giardino; la seconda, sopraggiunta un paio d'ore più tardi, mi ha spinto fino a un Mc Donald's sulla Cristoforo Colombo. Poscia più che 'l dolor potè 'l digiuno. Mulinavo spiritosaggini col ragazzo alla cassa, lui rideva, io pensavo che mi stavo procurando validi motivi per dubitare seriamente dei personaggi spiritosi che avrei incontrato da quel momento in poi. Il resto della serata è un maelstrom di Big Mac da asporto divorati in cucina, davanti agli sguardi nemmeno troppo perplessi dei parenti sopraggiunti per la visita di rito. A poche stanze da me, una caritatevole zia si stava occupando di serrare la mandibola di mamma, legandole un fazzoletto attorno alla testa. Ai cadaveri si richiede un'impeccabile bocca chiusa, è il protocollo funebre. Nel frattempo io sganasciavo i miei hamburger a due piani, e compilavo un provvisorio registro delle differenze: dieci anni prima, alla morte di mia nonna, mia madre era disperata perché non riusciva a trovare il vestito che sua madre aveva messo da parte per "quel giorno". Niente, non saltava fuori. Alla fine le aveva sistemato addosso un abito qualsiasi, di colore scuro, quello che pensava le stesse meglio. Solo qualche tempo dopo il funerale, rovistando negli armadi, aveva scovato il corredo perduto. Un rimorso decennale di mamma. Tanto che adesso sapevo benissimo in quale cassetto recuperare il vestito che lei aveva selezionato per il suo "quel giorno", assieme a una scarna lista degli accessori. Lo sapevo perché negli ultimi dieci anni non aveva fatto altro che spiegarlo e rispiegarlo costantemente a me e a mio padre. Dieci anni di spiegazioni. Dopo l'incidente con nonna, l'abito che avrebbe indossato da morta era diventato una questione vitale.

P.S. Avevo iniziato a scrivere questa vaghèzia pensando alle notti scellerate di un romanziere X, curvo sul dattiloscritto di un romanzo Y. Mi sono reso conto che tutte le metafore qui sopra potrebbero riferirsi altrettanto bene a un editor Z, curvo sul dattiloscritto del romanzo Y del romanziere X.