Da Affari Italiani, martedì 24 settembre 2013

L'OPINIONE/ Dopo un'esperienza decennale da editor per Fazi, circa un anno fa Christian Soddu ha deciso di mettersi in proprio, co-fondando l'agenzia "West Egg". Ogni giorno è quindi alle prese con aspiranti scrittori e self-publisher. Affaritaliani.it ha chiesto alla stimato editor una riflessione su "Masterpiece", il primo talent tv per aspiranti scrittori. E l'intervento controcorrente di Soddu (che non critica a priori il programma come tanti suoi colleghi, anzi...) diventa l'occasione per approfondire il passaggio dal "faidate" al "puoi-far-tutto-da-te" ("... non è dato capire se la colpa sia tutta di Giovanni Muciaccia e del suo Art Attack, che già negli anni Novanta convinceva i bimbi di poter diventare De Chirico utilizzando un laccio di scarpa e un pomodoro spremuto"): "Ho parlato con molti di coloro che hanno inviato il proprio manoscritto, intenzionati a gettarsi nella mischia. L’atteggiamento di alcuni – giusto, verrebbe da dire – è simile a quello del Duca di Wellington alla vigilia di Waterloo: si clicca invio sulla mail con lo svolazzo svogliato di chi si sfila i guanti bianchi da ballo, dopo una notte spensierata, ché ora la pugna attende. Ho mandato il mio romanzo, ma non prendo la faccenda troppo sul serio. Anche se..."

In uno dei tanti aforismi camuffati con modestia tra le splendide pagine deLa grande sera, Giuseppe Pontiggia scrive: «Mario rifletté, guardandosi attorno, che spesso si dà il meglio quando non ci si crede, solo che non si deve credere neanche a questo, altrimenti non funziona». Riflettendo a mia volta, guardandomi attorno, giurerei che questa è l’esatta disposizione d’animo di una parte dei cinquemila aspiranti concorrenti a Masterpiece, il talent show per scrittori che mamma Rai partorirà quest’autunno. Ho parlato con molti di coloro che hanno inviato il proprio manoscritto, intenzionati a gettarsi nella mischia. L’atteggiamento di alcuni – giusto, verrebbe da dire – è simile a quello del Duca di Wellington alla vigilia di Waterloo: si clicca invio sulla mail con lo svolazzo svogliato di chi si sfila i guanti bianchi da ballo, dopo una notte spensierata, ché ora la pugna attende. Ho mandato il mio romanzo, ma non prendo la faccenda troppo sul serio, mi ha confidato dunque il Mario Rossi di turno. Questo, come il “Mario” di Pontiggia, come tutti i “Mario” del mondo, ha il buon senso inscritto nel suo nome rotondo. Ma il buon senso è un’arma a doppio filo, e l’aspirante romanziere già si chiede se saprà essere british anche nella battaglia. E se lo selezionano? Se si ritrova a far parte del cast del programma? Se e quando un Carlo Cracco senza parannanza e che ha letto l’Odissea gli frullerà la bozza del suo racconto in faccia, additando una prosa insipida, gridandogli di lasciar perdere la scrittura e mettersi a fare l’editor come fanno tutti… in quel momento, davanti alla telecamera, davanti agli altri concorrenti, compresa l’aspirante poetessa che era riuscito a sedurre alla terza puntata, lui, il Mario Rossi, continuerà a prenderla come un gioco? Questo non crederci pur credendoci ma per finta, quest’acrobazia dell’autocoscienza alla “io so che tu sai che io so” animerà forse anche i partecipanti a Melt-a-Plot – «il cinema che avresti sempre voluto vedere è quello che hai fatto tu!» –, iniziativa ugualmente targata Rai, stavolta rivolta agli aspiranti sceneggiatori. E non so, forse saranno appena più mordaci le folle immense che si rivolgono all’ormai vecchioselfpublishing (che altro c’è da dire al riguardo?) e alle sue piattaforme; ma ciò che si sa è che il faidate vince. Convince. Il faidate è la nuova, solida certezza cui tutti si rivolgono. La vecchia frontiera, un orizzonte bonario come una torta fatta in casa, che ancora ci sorride e soccorre. E però il faidate, diciamoci pure questo, quando oltrepassa il confine di bricolage o tumescenze puberali, è un credo che mescola un po’ troppo le carte. E dal faidate si passa al puoi-far-tutto-da-te: diritto inalienabile, frustrato da quanto di più antidemocratico esiste in natura, il talento. Oggi, sotto l’offensiva di pensieri autunnali, non è dato capire se la colpa sia tutta di Giovanni Muciaccia e del suo Art Attack, che già negli anni Novanta convinceva i bimbi di poter diventare De Chirico utilizzando un laccio di scarpa e un pomodoro spremuto.

In realtà, ciò che di Masterpiece farà discutere sarà probabilmente l’aspetto più banale dell’intera faccenda: l’abbinamento – ritenuto ancora da molti “blasfemo” – tra l’esercizio della scrittura e lo show televisivo. Una polemica che, nel caso, sarà forse ingiusta, e per certi versi insensata. E non solo perché, al di là della trovata che c’è dietro, di libri e di scrittura è sempre meglio che si parli, ma anche perché questo strano futuro dietro le spalle che caratterizza il mondo editoriale, questa spinta al fai da te che provoca un po’ di capogiri, ha in realtà le sue salutari implicazioni. Chi scrive l’ha sperimentato, creando una forma ibrida di agenzia editoriale che la propria cella di collocazione, nell’alveare di agenti letterari, service editoriali e consulenti indipendenti che operano da sempre attorno all’editore, se l’ha praticamente inventata. Nell’ultimo anno, da quando nel settembre 2012 West Egg editing è nata, questo settore da magmatico è divenuto liquido, con moto ondoso in previsto aumento. Riuscire a lavorare con tantissimi autori a proporre in giro le loro opere con successo è stata finora la più felice conferma di quella logica del faidate che, però, può benissimo andare a braccetto con un stile personale, tradizionale, fatto anche di calcolate lentezze e di attenzione al rapporto umano con chi scrive, che è stata la nostra scelta fin dall’inizio. C’è spazio per tutto, più ancora che per tutti; e qualcuno di rimando sussurrerrà: «purtroppo»… e qualcun altro: «dove andremo a finire…», e c’è sempre chi, mentre scruta le classifiche del fine settimana sui giornali: «ah, se pubblica quella con le sue storielle erotiche, allora io..!». Be’, a noi che tutto sommato abbiamo il gusto per le anticaglie, che pur ci piace prendere ancora il caffè con la moka, sono da monito altre parole: «Non c’è come un consenso non condiviso dagli altri per isolare chi lo prova e indurlo a una reazione eccessiva, nel tentativo di vincere, oltre che i dubbi altrui, anche i propri». Ancora Pontiggia. E ancora La grande sera, amici telespettatori.