La letteratura è morta? E se sì, l'hanno uccisa proprio i critici letterari che insegnano in università? Attorno alla molto entusiasmante e originalissima domanda (di quelle che Cuore avrebbe gloriosamente catalogato nella rubrica "Mai più senza") si sta sviluppando in Canada una polemica tra accademici di quelle da leccarsi la nuca.

La diatriba prende piede dopo la pubblicazione di un breve e lucido saggio del Dr. Albert Braz, istruttore di Inglese e Letteratura comparata all'Università di Alberta, sul numero di dicembre 2012 del mensile accademico University Affairs. Il sor Braz lamenta lo scarso amore verso la "magia della letteratura" dei... professori di letteratura nei Dipartimenti di Inglese. Sostiene Braz che la letteratura, a cominciare dal suo stesso nome, è diventata un imbarazzo, un anacronismo, uno strumento esplosivo tra le mani degli accademici che dovrebbero insegnarla. Al punto che questi proffi tendono a farla scomparire non solo dai loro programmi – pieni zeppi di testi di critica letteraria e sempre più poveri di romanzi, lirica, poesie, racconti (cioè di letteratura) – ma persino dai titoli dei loro corsi, che sempre più tendono a usare quelli che Braz chiama «descrittori meno elitisti» come «testi», «prontuario», «mappa». Il risultato è ovvio e paradossale: molti studenti di dottorato che escono da questi dipartimenti sono ferratissimi sulla critica letteraria del Rinascimento, pone Braz, ma magari non hanno letto quasi nessuna delle grandi opere letterarie di quella stessa epoca

Braz racconta poi un aneddoto illuminante: riferisce di quando organizzò in università un convegno con il Premio Nobel per la Letteratura José Saramago e notò, con piacere, l'enorme popolarità che l'iniziativa suscitò non solo fra tutti i professori delle discipline non letterarie, accorsi in massa, ma anche fra la cosiddetta "gente comune", quella che all'università si è fermata alla baccalaurea, se mai c'è andata. Due migliaia di persone pigiate come l'uva per ascoltare le parole dello Scrittore, per chiedere un autografo. Perché? Perché quell'uditorio di lettori delle opere di Saramago era consapevole della rilevanza sociale e intellettuale dell'Autore, e gli conferiva altra rilevanza sociale. Ma Braz notò con rammarico un'assenza clamorosa: quella dei suoi colleghi studiosi di letteratura. E, sempre nell'articolo per University Affairs, il prof dell'Alberta scrive con indovinato paragone: «Era come se Stephen Hawking fosse venuto a tenere una conferenza al Dipartimento di Fisica e nessuno dei fisici suoi colleghi fosse venuto ad ascoltarlo».

Ora, pur nutrendo profonda empatia e condivisione verso il punto di vista del sor Braz, devo ammettere che non avrei saputo nulla del suo temerario articolo se non avessi letto la piccatissima risposta che ha ricevuto sul numero successivo di University Affairs, all'interno della rubrica della posta al direttore.

Qui c'è da andare a capo e aprire un nuovo paragrafo, perché poche cose sono deliziose come perdere tempo nel leggere la rubrica delle lettere di una rivista per accademici canadesi. Potevo perfino iniziare l'articolo con questa frase, se ci pensate.

Ero nel luogo deputato, sulla tazza del cesso, e m'imbatto quindi nella missiva impettita di un certo Prof. Terry Goldie, docente di Inglese all'Università York di Toronto. Quella di Goldie è la letterina di una star accademica, di quelle che hanno bisogno di iniziare l'argomento ricordando a tutti quanto star accademica sia, sottolineando che mentre il sor Braz deve accontentarsi del titolo di "Doctor", lui può ben sguazzare tra i privilegi conferitigli dal titolo di "Professore accademico". Il suo scritto procede sulla variegata gamma tonale del sarcastico alla volta di Braz, finché Goldie fa onore a se stesso in un passaggio veramente "d'oro": «Il dottor Braz suggerisce che un professore di letteratura che non vada ad ascoltare un romanziere parlare è come un fisico che non vada ad ascoltare Stephen Hawking. Mi dispiace, ma non è così. È come un fisico che non andasse ad ascoltare un quark parlare, o forse un produttore di quark. Fallacie logiche di questo genere non aiutano la tesi del dottor Braz, né aiutano la causa della letteratura», che naturalmente conosce bene solo il prof. Goldie.

A questo punto ho sospeso la mia lettura profondamente scatologica e mi sono detto: pensa tu che genio questo Goldie. Succede che viene scoperto un quark che ha la possibilità di parlare, naturalmente di sé: di cos'altro, sennò? Dunque abbiamo il signor Quark, che va a una conferenza e spiega al mondo com'è fatto, cosa fa, cosa determina, cosa pensa quando fa quello che fa, e come lo fa. Ci parla dei suoi meccanismi, magari delle sue relazioni, dei suoi stati d'animo e dei suoi dubbi, se i quark ne hanno. E il prof. Goldie sostiene che i fisici non accorrerebbero a frotte? Cioè, passi una vita a studiare cosa è un quark, come funziona e cosa cazzo determina, e quando hai l'occasione più unica che rara di andarlo ad ascoltare dalla sua viva voce quarkesca, NON CI VAI?! Ma i fisici ci verrebbero da tutto il mondo, per la miseria! Ve lo dico io, che sono appunto sposato con una fisica.

Allo stesso tempo, il sor Goldie ha involontariamente contribuito a darmi un'idea letteraria: dovrei proprio scrivere un raccontino di fantascienza con protagonista un quark che va alla conferenza universitaria a parlar di sé e delle sue complesse relazioni. Peccato che un certo Primo Levi abbia già avuto un'idea analoga con la tavola degli elementi periodici, però si sa: in letteratura, sin dai tempi di Omero, non esiste nulla di veramente originale.

Sciltian Gastaldi