Pubblichiamo il nostro intervento apparso su Affari Italiani"Il Self-publishing in Italia? Nasce dalla frustrazione di chi non si sente ascoltato... ma il sogno resta (quasi) sempre la carta, non l'e-book..."

Anticamera o punto d'arrivo?

Ricordo il giorno in cui il capocronista della «Nuova Sardegna» si arrabbiò con me perché, in un pezzo di cronaca, avevo usato il termine pusher. Quell'anglismo piazzato lì al posto di "spacciatore" sarebbe sfuggito alle categorie mentali del nostro zoccolo duro, e abitudinario, di lettori... E poi, se esisteva l'equivalente in italiano, perché usare un vocabolo inglese? Erano gli anni Novanta, Berlusconi era già tra noi, ma ancora non era scoppiata la spietata offensiva lessicale di Escort e Spread.

Quindi la mia prima reazione, quando penso al self-publishing e ne mastico il suono, è un sorriso immalinconito da freschi ricordi, che però subito scompare, perché non c'è niente da sorridere. La faccenda è seria. L'autopubblicazione, oggi, è una via sempre più battuta da chi spera di ripetere certi exploit (rari, a dire il vero: di Amanda Hocking ne spunta una su un milione che ci provano). In Italia, curioso paese di luddisti in cui però si collezionano iPhone come fossero francobolli, il fenomeno è ancora numericamente lontano dalle realtà in cui gli ebook costituiscono già una fetta essenziale del mercato. Dopo aver lavorato per anni come editor all'interno di una casa editrice, oggi, da titolare di West Egg, agenzia di editing e intermediazione editoriale, la mia percezione non è cambiata nella sostanza, ma di certo si è fatta meno partigiana e diffidente: non mi sento di stigmatizzare a priori l'attrazione crescente che il self-publishing esercita presso i nostri autori e/o aspiranti tali, bollandola come frutto di avventate illusioni o sintomo di chissà quale declino della nostra produzione letteraria. Se il desiderio di autopubblicarsi è da una parte incoraggiato dalle possibilità di comunicazione, confronto e autopromozione che viaggiano su nuove piattaforme tecnologiche, dall'altra ha dietro una precisa spinta emotiva che dà al fenomeno una fisionomia sociologica prima ancora che tecnico-editoriale: è una reazione polemica, quasi arrabbiata, quella di chi dice «faccio da me», perché – è sottinteso – da «te» non ho riscontro alcuno. Quel «te» lo si intenda rivolto agli editori, i primi veicolatori di voci e storie, molte delle quali brigano per incontrare un pubblico e una confezione adeguata.
Ora, è assolutamente giusto e inevitabile non ottenere riscontri se si è privi del talento e delle qualità necessarie, ci mancherebbe... Ma l'impressione è che al fondo di tutto, e similmente ad altri settori, compresa la politica, in cui il cruciale ruolo del web rivela un proprio spirito "movimentista", ci sia una rivendicazione di ascolto più ampia, frustrata a priori dall'impossibilità o crescente difficoltà dell'editoria tradizionale di intercettare certe proposte o di rispondere in modo se non altro umano, diretto ed educato a certi contatti. Le ragioni risiedono nell'obbligo di ottimizzare i frenetici tempi di lavoro negli uffici editoriali, nella crisi che riduce gli organici interni, e dunque nell'esigenza sempre più pressante di inseguire le tendenze sicure di un mercato ormai saturo. Insomma, oggi si rischia di meno, questo è sicuro. Ma credo che gli editori stessi dovrebbero avere il coraggio di alzare di nuovo l'asticella. Solo così si crea un senso di responsabilità e una consapevolezza maggiore anche in chi sogna – del tutto legittimamente – di autopubblicarsi il proprio libro, e magari si trova a confrontarsi con modelli che sembrano tutt'altro che letterariamente "inimitabili". In questo, il ruolo dell'editor professionista e freelance che consiglia, esorta, dissuade, supporta, oggi può aiutare, particolarmente in Italia, dove c'è ancora una specificità nell'approccio all'esercizio della scrittura e nell'aspirazione a pubblicare il proprio libro. Forse altrove, ad esempio nei paesi anglosassoni, complici anche le incubatrici dei social network, si scrive principalmente per "comunicare". Da noi, scrivere è ancora sognare il proprio nome stampato sulla copertina di un libro cartaceo (e se non è brossurato ma addirittura rilegato, la vanità esplode in un'orgia di tattili conferme). Sono in molti a contattare West Egg e a dirsi orientati verso il "pianeta ebook", ma la domanda che ci sentiamo rivolgere immancabilmente è: «Che dite, proviamo a partire prima con l'autopubblicazione in elettronico?». Quel "prima" implica la speranza di uno step ulteriore: riscuotere l'interesse dell'editore tradizionale. Forse, anzi con tutta probabilità, pubblicare da sé il proprio romanzo su Amazon sarà considerato tra non molto un punto d'arrivo appagante, ma per ora... Per fortuna anche chi punta all'autopubblicazione desidera avere pareri o supporti per migliorare la propria macchina narrativa, e noi ci siamo.

 Christian Soddu

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