Capita di tanto in tanto di assistere, soprattutto in occasione di festival o eventi letterari, a performance di esordienti che sottopongono i propri testi al giudizio di un gruppo di editor chiamati a raccolta. Accade a Pordenone, accade a 8x8, accade a Roland, accade a Esor-dire…

Partecipo spesso, con curiosità di lettrice e occhio e orecchio da addetta ai lavori, a queste occasioni in cui, fuori dal limitato perimetro della casa editrice, si possono ascoltare voci nuove e soprattutto imparare da colleghi che poco si frequentano.

C’è una domanda con cui spesso però torno a casa, e che credo assilli anche l’esordiente che è stato giudicato, ovvero: come è possibile che a volte, su un racconto o parte di romanzo, le opinioni di più editor possano essere tanto diverse? Addirittura opposte. Mistero dell’editoria? Quel fare appello al gusto del singolo giudicante non mi ha mai molto convinta. Perché sono dell’idea che un buon editor, pur dichiarando il proprio gusto, debba saper valutare quel che ha di fronte con una qualche oggettività, riuscendo a intuirne la bontà ben al di là del proprio (e troppo spesso chiamato in causa) gusto letterario. Perché, contrariamente a chi crede che la narrativa sia idee, creatività, scintille e accensioni, sono sempre più convinta che, se certo è tutto questo, è anche e senza dubbio schema, struttura, rispetto di alcune geometrie e proporzioni. Numeri, in qualche modo. E di conseguenza l’editing che su un testo si esercita non può non seguire delle regole. Ecco perché, se su un testo ancora grezzo di un esordiente sono troppi i pareri che si scontrano, mi pare ci sia un problema. Non sarà forse che gli editor, in simili manifestazioni, più che mettersi al servizio di un testo, si sentono spesso su un ring loro stessi?

 È per questo che sono felice di aver partecipato, insieme a Carlo Carabba, Stefano Izzo, Elisabetta Migliaveda, Alberto Rollo ed Elena Rastelli, a Esor-dire di quest’anno. Due giornate intense, sabato 10 e domenica 11 novembre, negli spazi della Scuola Holden di Torino. Con un certo stupore ci siamo ritrovati concordi sui giudizi che ognuno di noi, con il metodo e le parole che più sente proprie, ha espresso. Ho pensato, alla fine di questa due giorni, che un simile accordo tra persone che non si frequentano e non si conoscevano possa essere per noi una conferma del modo in cui lavoriamo e costituisca senz’altro, per i ragazzi che ci hanno ascoltato, un sorta di garanzia di qualità.

Sfatiamo il pensiero diffuso che il giudizio su un testo e un autore vari necessariamente da editor a editor. Succede, certo, ma, soprattutto nei confronti di lavori in fieri, l’unanimità del giudizio mi mi sembra un valore. E che per una volta non ci sia stata alcuna diatriba tra gli addetti ai lavori, né liti verbali con gli autori, mi dà una certa soddisfazione.

Un’occasione in cui il lavoro dell’editor è apparso come ciò che dovrebbe essere: a servizio del testo, dell’autore, non di se stesso.

 Alessandra Penna