Mattina, sul treno.
Davanti a me due ragazze, molto giovani, a malapena ventenni. Due studentesse universitarie, oppure no, forse stanno andando a Roma a far compere, o a fare un giro. Sono salite a Montalto, o a Tarquinia, non ricordo, e questo, chissà perché, mi rende più plausibili le due ultime ipotesi.
La ragazza a destra parla molto di più dell'amica, sfoglia una rivista e mostra continuamente all'altra qualcosa. Ha i capelli tagliati molto corti da un lato e indossa un grazioso cappellino nero, una specie di piccolo Borsalino. Ma non è questa la combinazione di elementi – il vezzoso copricapo, l'originale capigliatura e, ma sì, il bel visino – che più attira la mia attenzione. Il connubio suggestivo si trova appena più giù. Appeso al collo porta un vistoso crocifisso, enorme, nero e argento, la cui base va a piantarsi sul disegno stilizzato impresso sulla T-shirt bianca: un grande teschio verde, a tutto petto.
Mi viene in mente un aneddoto su Giovanni XXIII. Nunzio apostolico a Parigi, durante un ricevimento gli si avvicina una signora che sfoggia uno splendido décolleté e, sopra i floridi seni, un grande crocifisso, al che, con l'acuta prontezza di chi è stato contadino ancor prima che prete, lui esclama: "Che Calvario!".

Rifletto se vi sia contraddizione nel portare un crocifisso sopra un seno prorompente o sopra un teschio rinsecchito, e se sì, quale delle due sia maggiore, quella della generosa signora parigina o quella della dark-ragazzina della Tuscia. Facile, vince, anzi perde, la grand dame francese, e non per un sottile disprezzo per il paese dei Lumi e della rivoluzione appunto francese, né perché i seni che la ragazza davanti a me non mostra sono piccoli piccoli sotto la castigata maglietta bianca. Il fatto è che Calvario in latino, o Golgota in aramaico, significa proprio questo, luogo del cranio. E se poi volessimo uscire dal mero campo etimologico e azzardare un paio di passi nell'agone della teologia, sarebbe ancor più facile aggiungere che un crocifisso che sovrasta il simbolo per eccellenza della fine e della dissoluzione è una meravigliosa rappresentazione del riscatto e del trionfo della vita. Brava ragazzina salita a Montalto, o a Tarquinia! Provincia italiana batte grandeur francese 3-0.
Lei intanto continua a sfogliare la rivista e a parlare. Si rivolge all'altra chiamandola "amore". "Guarda qui, amò", "Questo non lo direi a nessuno, solo a te, amò" e così via. Dopo un po' l'amica, occhiali scuri e borghese T-shirt a righe, le appoggia la testa sulla spalla. Un po' dorme un po' no. Mi fanno tenerezza, e anche qualcosa di più.

 I tavoli del bar sotto casa sono affollati nella pausa pranzo. C'è il sole, fa caldo, e forse è una delle ultime volte che si può mangiare un panino o sorseggiare un caffè all'aperto, per quest'anno. A gambe nude, se si è donne. Tacchi, sandali, minigonne, o gonne normali che diventano mini-mini nell'accavallamento, vestitini, spallini che sembrano doppi, non perché sono ubriaco ormai ma perché quelli dei reggiseni si intrecciano con quelli degli abitini leggeri, rendendo difficoltoso il discernimento. Quasi rimpiango che proprio questa mattina non ci siano lavori in corso sul marciapiede adiacente. Mi avrebbero obbligato a uno zigzagante, labirintico percorso di guerra tra tavoli, sedie e svolazzanti annessi e connessi. Questa mattina, giuro, non avrei lanciato maledizioni all'amministrazione comunale, assessorato ai lavori pubblici. Avrei respirato volentieri un po' di aroma di caffè, misto a una goccia di Chanel N. 5. Ma tant'è. Passo e mi distraggo. Ma neanche troppo.

Penso, chissà perché, al mio amico tunisino, al mio paese. È in Italia da più di dieci anni e fa il pescatore. Ha una bella moglie e tre splendide figlie. Lo scorso anno – le figlie stavano diventando grandi – ha preso una decisione: non vuole che vadano a scuola qui, non vuole che diventino adolescenti qui, non vuole che guardino la televisione qui, forse non vuole nemmeno che, tra qualche anno, siedano al bar qui. E così ha spedito tutte e quattro là. Lui, invece, è rimasto qua. Lavorerà duramente come ha sempre fatto, manderà loro il necessario, le farà tornare per le vacanze, le andrà a trovare ogni volta che potrà. Roma-Tunisi è meno di un'ora. Al bar, e per strada, però, lui continuerà ad andare qui, in Italia, e mi chiedo se non sia una contraddizione.
Questa volta, però, non giungo a una conclusione. Non so se sia perché non c'è o perché sono ancora un po' stordito e devo ragionarci meglio. Se fossi giudice, il mio verdetto, in questo momento, sarebbe di assoluzione, per insufficienza di prove. Nella peggiore delle ipotesi, si tratterebbe di una contraddizione veniale, con tutte le attenuanti delle circostanze. Sarà perdonata. L'unico a non essere perdonato oggi sarò io. Per i cattivi pensieri.

Enrico Bistazzoni